(Büdesheim, Bingen, 1868 - Minusio, Locarno, 1933) poeta tedesco. A vent’anni cominciò a viaggiare per l’Europa. A Parigi frequentò il cenacolo simbolista, Mallarmé, Verlaine, in Belgio conobbe Verhaeren, in Inghilterra Swinburne e i preraffaelliti, incontri che ebbero un notevole influsso sulla sua fisionomia d’artista. Nel 1890 creò un proprio circolo intorno alla rivista «Blätter für die Kunst» (Fogli per l’arte), organo di opposizione al naturalismo. A partire dal 1900 visse quasi stabilmente a Monaco di Baviera. In segno di protesta contro l’uso propagandistico che il nazismo faceva della sua opera, nel 1933 si trasferì in Svizzera, dove morì. Il suo esordio letterario avvenne con le raccolte Inni (Hymnen, 1890), Pellegrinaggi (Pilgerfahrten, 1891) e Eliogabalo (Algabal, 1892). Seguirono i tre Libri delle poesie pastorali e delle laudi, delle leggende e dei canti e dei giardini pensili (Die Bücher der Hirten-und Preisgedichte der Sagen und Sänge und der hängenden Gärten, 1895), preziosi quadri ispirati alla Roma antica, alle leggende medievali e all’Oriente fiabesco. Del 1897 è la raccolta L’anno dell’anima (Das Jahr der Seele), caratterizzata da un lirismo fortemente interiorizzato. Nel 1900, con il volume Il tappeto della vita e i canti del sogno e della morte (Der Teppich des Lebens und die Lieder von Traum und Tod), G. formulò, in smaglianti vignette preraffaellite, un’immagine del poeta come rivelatore del divino. Il settimo anello (Der siebente Ring, 1907) mostrò invece un crescente interesse politico. Tra le poesie più spontaneamente felici di questa raccolta sono le brevi canzoni dedicate all’efebo Massimino, che sarà poi al centro del volume La stella del patto (Der Stern des Bundes, 1914) e ricomparirà, trasfigurata nel mito della divina giovinezza, nell’ultimo volume di G., Il nuovo Regno (Das neue Reich, 1928).L’attività poetica fu intesa da G. come una missione, in aristocratica polemica con la cultura borghese: con il positivismo in filosofia, con il naturalismo in letteratura. Il poeta è, per G., sacerdote e maestro di una nuova mistica, che oppone il sublime eterno alla passionalità del contingente. Sul piano della forma la poesia di G. tende a una immaterialità che si traduce in strenua, marmorea levigatezza; la stessa presentazione tipografica (caratteri, frontespizi) assume (come in D’Annunzio) una rilevanza stilistica. La lingua tedesca viene piegata e contorta alla ricerca di una solennità lapidaria. Ne deriva una lirica insieme oscura e armoniosa, di struggente perfezione formale.